mercoledì 24 febbraio 2016

Emergenza Robinson!

Robinson è in pericolo! Come possiamo aiutarlo?



Buongiorno a tutti cari amici lettori. Ieri vi ho parlato di decision making e processi euristici, oggi dunque voglio proporvi un vero e proprio esempio pratico a riguardo. Qui di seguito vi ho inserito un breve passo tratto dal romanzo "Robinson Crusoe" di Daniel Defoe, al termine del quale troverete dei quesiti a cui vi chiedo di rispondere liberamente e senza impegno. Buona lettura!
 
Camminavo su e giù per la spiaggia, levando le mani al cielo, e come assorto in tutto il mio essere a contemplare la mia salvezza; e compivo mille gesti e movimenti che non posso descrivere, mentre pensavo che tutti i miei compagni erano annegati, che nessun altro si era salvato all'infuori di me. (...)
Dopo aver riconfortato il mio spirito meditando sull'aspetto consolante della mia situazione, cominciai a guardarmi attorno per vedere in che razza di luogo fossi capitato, e che cosa, innanzitutto, dovessi fare, e subito sentii che la mia consolazione veniva meno, perché la mia salvezza era avvenuta in condizioni tremende: ero bagnato fradicio, non avevo vestiti per cambiarmi, niente da mangiare e da bere per ristorarmi; né vedevo di fronte a me alcuna prospettiva se non quella di morire di fame o morire sbranato dalle belve feroci (...). Non avevo indosso altro che un coltello, una pipa e una scatola con un po' di tabacco. Questi erano tutti i miei beni, e il constatarlo mi sconvolse al punto che per un poco presi a correre qua e là, quasi fossi impazzito. Poi, mentre la notte calava su di me, col cuore oppresso dall'angoscia cominciai a meditare sulla sorte che mi attendeva se quella terra fosse stata popolata da bestie fameliche, poiché infatti sapevo che son solite uscire nottetempo dalle loro tane in cerca di preda.
L'unico rimedio che mi venne in mente fu quello di arrampicarmi su un albero dalle fittissime fronde, simile a un abete spinoso, che cresceva lì vicino, e di trascorrervi la notte meditando su quale morte mi attendesse il giorno dopo, giacché non vedevo alcuna probabilità di sopravvivere. Percorsi circa mezzo miglio all'interno in cerca d'acqua dolce da bere, ed ebbi la grandissima gioia di trovarla; così, dopo aver bevuto ed essermi messo in bocca un po' di tabacco per alleviare il morso della fame, tornai all'albero, vi salii e cercai di sistemarmici in modo da non cadere se per caso mi fossi addormentato; poi mi tagliai un corto bastone, a guisa di mazza, per avere uno strumento di difesa, e presi possesso del mio alloggio. Sopraffatto dalla fatica caddi in un sonno profondo (...). 

Quando mi svegliai era pieno giorno; il cielo era sereno e la tempesta si era placata, cosicché il mare non appariva più gonfio e scatenato come prima. Ma ciò che maggiormente mi sorprese fu il constatare che durante la notte l'alta marea aveva disincagliato la nave dal banco di sabbia, lasciandola vagare alla deriva e sospingendola verso lo scoglio di cui dicevo poc'anzi: lo stesso contro il quale ero stato proiettato dalle onde e mi aveva ammaccato le ossa. In pratica, si trovava alla distanza di circa un miglio dal punto della costa in cui mi trovavo io, cosicché, vedendo che la nave si teneva ancora ritta in superficie, pensai di tornare a bordo per vedere se mi fosse riuscito di portare in salvo almeno le cose che avrebbero potuto servirmi.(...)
Poco dopo mezzogiorno il mare era molto calmo, e la marea così bassa che potei accostarmi alla nave fino a distarne non più di un quarto di miglio; e questa circostanza valse a ridestare la mia ambascia, perché compresi che se fossimo rimasti a bordo ci saremmo salvati tutti, ed io non avrei patito la suprema, atroce disgrazia di trovarmi totalmente orbato di ogni conforto e compagnia, come invece mi trovavo. Questa considerazione fece sgorgare nuove lacrime dai miei occhi, ma piangere non serviva e quindi decisi di raggiungere la nave, se appena fosse stato possibile; pertanto mi liberai degli abiti, giacché faceva terribilmente caldo, e mi gettai in acqua. Quando però arrivai sotto la nave, mi resi conto di dover affrontare una difficoltà di gran lunga maggiore: quella, cioè, di salire a bordo, perché essendosi arenata, ed emergendo quasi tutta fuori dell'acqua, non c'era nulla a portata di mano cui potessi aggrapparmi. Due volte ne feci il periplo a nuoto, e la seconda volta mi accorsi stupito di non averlo notato prima, di un pezzo di corda che pendeva dalle catene dell'àncora; ed era così basso che, sia pure con grande sforzo, riuscii ad afferrarlo, e servirmene per issarmi fino al castello di prua. Qui ebbi modo di constatare che la nave aveva la carena sfondata e la stiva colma d'acqua, ma che si era incagliata su un banco di sabbia molto compatta, o piuttosto di terra, di modo che la poppa emergeva sollevata sopra il banco, mentre la prua era inclinata fin quasi a sfiorare il livello dell'acqua. Di conseguenza il cassero era emerso e tutto ciò che vi si trovava era asciutto. E logico, pertanto, che per prima cosa io mi preoccupassi di guardarmi attorno e accertare che cosa ci fosse di sciupato e di indenne. E per prima cosa vidi che tutte le provviste della nave erano intatte e che l'acqua non le aveva danneggiate (...). Ora l'unica cosa di cui avevo bisogno era un'imbarcazione, per rifornirmi di una quantità di cose che, lo prevedevo, mi sarebbero state di grandissima utilità...

Adesso chiedo la vostra partecipazione! Come noterete, il nostro Robinson si trova in una chiara situazione di emergenza. Cosa possiamo fare per aiutarlo a trasportare il necessario verso la spiaggia? Che consigli possiamo dargli? E cosa avreste fatto al suo posto?
 


FONTI:
-"Robinson Crusoe" di D. Defoe
 
 

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