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Visualizzazione post con etichetta Rischi e decision making. Mostra tutti i post
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lunedì 29 febbraio 2016

"Si, so già che mettere il casco è più sicuro..."

Un aiuto dalla psicologia per scoprire come mai non sempre facciamo la cosa più sicura.



“Si, so già che mettere il casco è più sicuro…” è una frase che chi si occupa della sicurezza in azienda può sentirsi dire da un dipendente. Non è scontato, però, che quella stessa persona metta il casco mentre lavora! Come mai? È un comportamento che può stupire, tuttavia ne siamo un po’tutti coinvolti: si sa che il fumo fa male, ma in tanti fumano; si sa che la cintura di sicurezza va messa anche quando si è seduti sui sedili posteriori, eppure non tutti lo fanno… La lista di esempi simili potrebbe essere infinita, ma dobbiamo chiederci perché le nostre credenze spesso non coincidono con i nostri comportamenti.

La psicologia inizialmente ha dato per scontato che sviluppando una credenza in una persona, questa si sarebbe comportata in modo coerente. A partire dagli anni ’60, però si è resa conto che non è possibile ritrovare una relazione coerente, per cui sono iniziate numerose ricerche volte ad indagare il legame tra credenze di una persona ed i suoi comportamenti conseguenti. I risultati delle ricerche, però, furono molto variabili. Per cercare di spiegare questo fenomeno le ricerche in campo psicologico iniziarono a concentrarsi su quando la relazione pensiero – azione risulta coerente.

Un importante risultato ha riguardato la presenza di variabili moderatrici, ovvero di fattori al variare dei quali si verifica una modificazione della relazione tra credenze e comportamenti (Baron e Kenny, 1986). I risultati più chiari ed interessanti hanno mostrato che è maggiormente possibile predire un comportamento quando gli atteggiamenti di partenza sono stabili, facili da ricordare, formati da un’esperienza personale diretta, ritenuti sicuri dalla persona e coerenti. Quando invece non sono presenti queste caratteristiche, difficilmente la persona metterà in atto comportamenti coerenti con le proprie credenze.
La psicologia si è quindi estesamente occupata di questi aspetti, tuttavia nelle aziende spesso non viene richiesto l'aiuto di uno psicologo per favorire la prevenzione della sicurezza del lavoratore. Penso invece che sarebbe davvero vantaggioso riconoscere l'importante ruolo che questi professionisti potrebbero svolgere. 

Vedi anche: "Le euristiche"


FONTI:

giovedì 25 febbraio 2016

RISCHIO o PERICOLO?

Molto spesso usiamo come sinonimi le parole rischio e pericolo, questo, però, non è totalmente corretto, perché c’è un’importante differenza tra l’uno e l’altro: scopriamola!





 

Il tema dell'emergenza spesso viene associato a concetti come quelli di pericolo e rischio, credo sia necessario avere ben in mente cosa sia l'uno e cosa l'altro, per poi agire su di essi.
Il pericolo rimanda maggiormente ad eventi, situazioni non controllabili, che possono essere percepiti come minacciosi, incombenti e con conseguenze dannose. Il pericolo, per esempio, potrebbe essere il mare che si ritira e l’arrivo dello tsunami.
Cos'è, invece, il rischio? Il rischio dipende fortemente dalla valutazione soggettiva e personale della probabilità che accada qualcosa di spiacevole e della gravità dell’accaduto. Quindi, se il pericolo è strettamente legato alla certezza degli effetti, il rischio pone maggiormente l’accento sull'incertezza delle conseguenze. L’incertezza è un concetto chiave e del tutto psicologico, in quanto esiste solo nella mente umana, che non è onnisciente. 
Ritornando all'esempio precedente, davanti al mare in ritirata le reazioni delle persone saranno diverse: alcuni penseranno ad uno spettacolo memorabile, altri ad una marea eccezionale e solo alcuni ne intuiranno le gravità; questo è il rischio!
In base a questa distinzione è possibile dedurre che le nostre decisioni, in caso di eventi minacciosi imminenti, dipendono dalla percezione del pericolo e da come ci viene comunicato
Questo comporta che avere una buona conoscenza dei fenomeni, delle conseguenze di alcune condotte o eventi e delle tecniche per agire migliora senza dubbio la nostra capacità di decision making! 

Vedi anche: "Rischio allagamento!" - "Rischio industriale: il caso Seveso" - "Alla ricerca del RISCHIO"


 

mercoledì 24 febbraio 2016

Alla ricerca del RISCHIO

Perché spesso corriamo dei pericoli evitabili, rischiando così il tutto per tutto? 






Ogni giorno rischiamo qualcosa, in mille mila modi differenti, a volte senza nemmeno rendercene conto. 
La nostra società viene definita SOCIETÀ del RISCHIO, in quanto sembra essere alla continua ricerca di sensazioni molto forti. Questo atteggiamento ha un nome specifico e viene definito sensation seeking, che delinea questa ricerca spasmodica di sensazioni forti. Il cosiddetto sensation seeker non sopporta la noia e perseguendo questa ricerca tende ad avvicinarsi a grandi pericoli che sceglie di affrontare, decide dunque di correre il rischio! 
Vi propongo questa frase, che è un po’ l’emblema del pensiero della nostra società del rischio: “Nella vita ci sono rischi che non possiamo permetterci di correre e ci sono rischi che non possiamo permetterci di non correre” Peter F. Drucker. 
Mi piacerebbe, partendo da questa frase, stimolare qualche riflessione su qual è la linea di confine tra i rischi accettabili e quelli da evitare assolutamente. 

Per un approfondire maggiormente la questione vi rimando al post sulla differenza tra rischio e pericolo, spesso utilizzati come sinonimi.

Vedi anche: "Sì, so già che mettere il casco è più sicuro..." - "Rischio industriale: il caso Seveso"


Emergenza Robinson!

Robinson è in pericolo! Come possiamo aiutarlo?



Buongiorno a tutti cari amici lettori. Ieri vi ho parlato di decision making e processi euristici, oggi dunque voglio proporvi un vero e proprio esempio pratico a riguardo. Qui di seguito vi ho inserito un breve passo tratto dal romanzo "Robinson Crusoe" di Daniel Defoe, al termine del quale troverete dei quesiti a cui vi chiedo di rispondere liberamente e senza impegno. Buona lettura!
 
Camminavo su e giù per la spiaggia, levando le mani al cielo, e come assorto in tutto il mio essere a contemplare la mia salvezza; e compivo mille gesti e movimenti che non posso descrivere, mentre pensavo che tutti i miei compagni erano annegati, che nessun altro si era salvato all'infuori di me. (...)
Dopo aver riconfortato il mio spirito meditando sull'aspetto consolante della mia situazione, cominciai a guardarmi attorno per vedere in che razza di luogo fossi capitato, e che cosa, innanzitutto, dovessi fare, e subito sentii che la mia consolazione veniva meno, perché la mia salvezza era avvenuta in condizioni tremende: ero bagnato fradicio, non avevo vestiti per cambiarmi, niente da mangiare e da bere per ristorarmi; né vedevo di fronte a me alcuna prospettiva se non quella di morire di fame o morire sbranato dalle belve feroci (...). Non avevo indosso altro che un coltello, una pipa e una scatola con un po' di tabacco. Questi erano tutti i miei beni, e il constatarlo mi sconvolse al punto che per un poco presi a correre qua e là, quasi fossi impazzito. Poi, mentre la notte calava su di me, col cuore oppresso dall'angoscia cominciai a meditare sulla sorte che mi attendeva se quella terra fosse stata popolata da bestie fameliche, poiché infatti sapevo che son solite uscire nottetempo dalle loro tane in cerca di preda.
L'unico rimedio che mi venne in mente fu quello di arrampicarmi su un albero dalle fittissime fronde, simile a un abete spinoso, che cresceva lì vicino, e di trascorrervi la notte meditando su quale morte mi attendesse il giorno dopo, giacché non vedevo alcuna probabilità di sopravvivere. Percorsi circa mezzo miglio all'interno in cerca d'acqua dolce da bere, ed ebbi la grandissima gioia di trovarla; così, dopo aver bevuto ed essermi messo in bocca un po' di tabacco per alleviare il morso della fame, tornai all'albero, vi salii e cercai di sistemarmici in modo da non cadere se per caso mi fossi addormentato; poi mi tagliai un corto bastone, a guisa di mazza, per avere uno strumento di difesa, e presi possesso del mio alloggio. Sopraffatto dalla fatica caddi in un sonno profondo (...). 

Quando mi svegliai era pieno giorno; il cielo era sereno e la tempesta si era placata, cosicché il mare non appariva più gonfio e scatenato come prima. Ma ciò che maggiormente mi sorprese fu il constatare che durante la notte l'alta marea aveva disincagliato la nave dal banco di sabbia, lasciandola vagare alla deriva e sospingendola verso lo scoglio di cui dicevo poc'anzi: lo stesso contro il quale ero stato proiettato dalle onde e mi aveva ammaccato le ossa. In pratica, si trovava alla distanza di circa un miglio dal punto della costa in cui mi trovavo io, cosicché, vedendo che la nave si teneva ancora ritta in superficie, pensai di tornare a bordo per vedere se mi fosse riuscito di portare in salvo almeno le cose che avrebbero potuto servirmi.(...)
Poco dopo mezzogiorno il mare era molto calmo, e la marea così bassa che potei accostarmi alla nave fino a distarne non più di un quarto di miglio; e questa circostanza valse a ridestare la mia ambascia, perché compresi che se fossimo rimasti a bordo ci saremmo salvati tutti, ed io non avrei patito la suprema, atroce disgrazia di trovarmi totalmente orbato di ogni conforto e compagnia, come invece mi trovavo. Questa considerazione fece sgorgare nuove lacrime dai miei occhi, ma piangere non serviva e quindi decisi di raggiungere la nave, se appena fosse stato possibile; pertanto mi liberai degli abiti, giacché faceva terribilmente caldo, e mi gettai in acqua. Quando però arrivai sotto la nave, mi resi conto di dover affrontare una difficoltà di gran lunga maggiore: quella, cioè, di salire a bordo, perché essendosi arenata, ed emergendo quasi tutta fuori dell'acqua, non c'era nulla a portata di mano cui potessi aggrapparmi. Due volte ne feci il periplo a nuoto, e la seconda volta mi accorsi stupito di non averlo notato prima, di un pezzo di corda che pendeva dalle catene dell'àncora; ed era così basso che, sia pure con grande sforzo, riuscii ad afferrarlo, e servirmene per issarmi fino al castello di prua. Qui ebbi modo di constatare che la nave aveva la carena sfondata e la stiva colma d'acqua, ma che si era incagliata su un banco di sabbia molto compatta, o piuttosto di terra, di modo che la poppa emergeva sollevata sopra il banco, mentre la prua era inclinata fin quasi a sfiorare il livello dell'acqua. Di conseguenza il cassero era emerso e tutto ciò che vi si trovava era asciutto. E logico, pertanto, che per prima cosa io mi preoccupassi di guardarmi attorno e accertare che cosa ci fosse di sciupato e di indenne. E per prima cosa vidi che tutte le provviste della nave erano intatte e che l'acqua non le aveva danneggiate (...). Ora l'unica cosa di cui avevo bisogno era un'imbarcazione, per rifornirmi di una quantità di cose che, lo prevedevo, mi sarebbero state di grandissima utilità...

Adesso chiedo la vostra partecipazione! Come noterete, il nostro Robinson si trova in una chiara situazione di emergenza. Cosa possiamo fare per aiutarlo a trasportare il necessario verso la spiaggia? Che consigli possiamo dargli? E cosa avreste fatto al suo posto?
 


FONTI:
-"Robinson Crusoe" di D. Defoe
 
 

martedì 23 febbraio 2016

Le euristiche

Scopri cosa sono le euristiche e a cosa servono.

 
 


Buongiorno a tutti! A chi non è mai capitato di dover prendere delle decisioni improvvise? In situazioni di rischio, durante le quali il contesto non era ben definito? Sottopressione o di fretta?
Scegliere o decidere significa intraprendere un processo stadiale spesso lungo e complesso. Tuttavia, in determinate occasioni, il contesto non sempre permette di attraversare ciascuna delle suddette fasi o di sviluppare ragionamenti probabilistici. Per questo motivo spesso le persone fanno ricorso alle euristiche, ovvero delle scorciatoie mentali, delle strategie di pensiero che permettono dei giudizi veloci, affidandosi all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze. Esistono diversi tipi di euristiche, ma le più diffuse sono:
1)   l’euristica della rappresentatività; permette di stimare la probabilità di un evento sulla base del suo grado di tipicità rispetto alla categoria a cui appartiene. Viene utilizzata nel caso in cui si deve collocare qualcuno o qualcosa in categorie.
 
2)   l’euristica della disponibilità; la probabilità di un evento viene stimata sulla base dell’esperienza relativa all’accadimento di quell’esempio in passato. Dunque, secondo tale ragionamento ,gli eventi più vividi e più facilmente ricordabili possono sembrare più probabili di eventi più difficili da immaginare.
 
3)   per concludere l’euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento, attraverso la quale la stima di probabilità di un evento è sistematicamente influenzata da un termine di paragone.

 

lunedì 22 febbraio 2016

Comunicare i rischi

Saper comunicare le informazioni non sempre è facile. Spesso subentrano infatti diversi fattori di impedimento, scopri quali.


 


Buongiorno a tutti. Oggi vi parlerò della comunicazione e del ruolo essenziale che svolge nelle pratiche quotidiane e soprattutto nelle situazioni di prevenzione, durante le quali si ha la necessità di presentare informazioni ansiogene senza sollevare reazioni impulsive di non ascolto, o di rifiuto. Vi illustrerò quindi il modello di Gigerenzer (2003), il quale ha evidenziato le quattro difficoltà a ragionare sui rischi che bisogna prendere in considerazione al fine di realizzare efficaci azioni di comunicazione del rischio.
Scopriamole insieme…
La prima problematica riguarda l’illusione di certezza, ovvero l’idea che sia possibile avere sicurezze al 100%. Al contrario è importante sottolineare che decidere su condizioni di rischio, non significa mai scegliere tra certezza e pericolo, ma tra rischio maggiore e rischio minore, tra probabilità di un evento negativo o positivo e probabilità di un evento peggiore o migliore.
La seconda difficoltà invece è rappresentata dall’ignoranza del rischio, le cui cause sono molteplici. Può infatti capitare che a seguito di un dato evento alcuni dati non siano resi pubblici, possano essere volontariamente sottaciuti, o che siano attivate delle strategie di disinformazione. Proprio per questo motivo non solo è importante effettuare delle ricerche dettagliate riguardo le tematiche che si intende affrontare, ma è anche indispensabile collegare e confrontare i dati ottenuti al fine di avere un quadro della situazione che sia il più possibile preciso e accurato.
Procediamo poi con la comunicazione scorretta del rischio che viene realizzata attraverso diverse modalità, tra le quali: l’uso di probabilità di eventi singoli, l’uso di indicatori di rischio relativi, ed infine l’inversione delle probabilità condizionali. Ciò che accomuna queste forme di comunicazione, è rappresentato dal fatto che ostacolano la possibilità di comprendere adeguatamente i dati statistici. Perciò è fondamentale considerare il contesto in cui si sta svolgendo la comunicazione, adattandola in base alle persone presenti.
Infine troviamo poi il pensiero annebbiato, una condizione comunicativa caratterizzata dal fatto che le informazioni sui rischi vengono si presentate nella maniera corretta, ma si hanno diverse difficoltà a trarne delle conclusioni. È dunque preferibile che le notizie vengano organizzate e presentate in maniera gerarchica, dando la precedenza a quelle ritenute più importanti e scalando man mano.

 
 
FONTI: